CESSIONE D'AZIENDA E DEBITI FISCALI: LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE È LIMITATA AL DEBITO RISULTANTE DAGLI ATTI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Con un deciso revirement ermeneutico (infatti in senso difforme si erano espresse Cass. n 9219/2017 e Cass. n. 5979/2014), la Suprema Corte, con la sentenza n. 17264 del 13 luglio 2017, ha indicato quale deve essere la corretta interpretazione dell'art. 14 del d.lgs. 472/1997, il cui testo è il seguente:
"Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
L'obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza.
Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell'interessato, un certificato sull'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta".
La Cassazione, in proposito, evidenzia come suddetta norma vada interpretata nel senso che:
- l'acquirente dell'azienda risponde, solidalmente con l'alienante ed in via sussidiaria, dei debiti fiscali riguardanti l'azienda riferibili alle violazioni commesse dall'alienante nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due anni precedenti, nonché delle imposte e delle sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell' Ufficio;
- la mancata richiesta del certificato di debenza da parte dell'acquirente non comporta un'estensione della sua responsabilità anche alle violazioni non risultanti dagli atti dell'Ufficio;
- non vi è alcun onere in capo all'acquirente di richiedere il certificato di debenza, ed anzi, è onere dell'Ufficio dell' Amministrazione finanziaria provare che già alla data del trasferimento dell'azienda risultasse agli atti dell'Ufficio la debitoria fiscale trasfusa nell'accertamento.
Nella specie, la Sezione tributaria ha dichiarato infondato il ricorso dell' Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva annullato una serie di avvisi di accertamento e le successive cartelle di pagamento, perché la verifica fiscale era stata eseguita in un'epoca successiva alla cessione d'azienda (verifica datata dicembre 2002, cessione marzo 2002), e l'Ufficio non aveva "provato che già alla data del trasferimento di azienda agli atti dell'Ufficio risultava la debitoria fiscale trasfusa nell'accertamento".
In particolare la Cassazione ha confermato l'assunto del giudice tributario regionale secondo cui "dall'art. 14 comma 2 del d.lgs. 472/1997 si desume che per il riconoscimento della responsabilità solidale occorre che al momento della cessione sia già aperta presso l'Ufficio interessato una procedura di verifica o di accertamento, ovvero che agli atti dell'Ufficio già risulti il debito fiscale della cedente, di guisa che, pur riconoscendo che l'effetto liberatorio per l'acquirente è dato solo dalla certificazione negativa rilasciata dall'Ufficio, si deve tuttavia escludere che possa essere fatta valere la responsabilità solidale per debiti che siano stati accertati a seguito di verifiche compiute in epoca successiva all'atto di cessione".
La Suprema Corte, esplicitamente discostandosi da una differente esegesi della norma fatta propria in passato dagli stessi Giudici di legittimità, chiarisce che "si impone una lettura combinata dei primi tre commi dell'art. 14, diversamente da quanto sostenuto in precedenti pronunzie di questa Corte (Cass. n. 5979/2014, Cass. n. 9219/2017), dalle quali consapevolmente si dissente".
In particolare, giustamente è affermato che l'art. 14 comma 2 è chiaramente inteso a recuperare un dato di certezza, diversamente ricavabile in sede civile dall'esame dei libri contabili dell'imprenditore cedente (ex. art. 2560 comma2 c.c.), mediante il rinvio agli atti dell' Amministrazione finanziaria, i quali assolvono, pertanto, una "funzione latamente sovrapponibile a quella svolta dai libri contabili sul piano della certezza e della conoscibilità della pretesa tributaria".
Inoltre, nella sentenza è precisato che "non può ritenersi che sia stato posto a carico dell'acquirente un onere di diligenza di richiedere la certificazione dei carichi pendenti, atteso che la norma attribuisce una facoltà chiaramente di favore per il contribuente, in quanto gli riconosce la possibilità di conseguire una liberatoria anticipata, né che la limitazione della responsabilità solidale dell'acquirente al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti dell'Ufficio dell' Amministrazione finanziaria, sia riservato solo al cessionario che abbia preventivamente comunicato l'operazione di cessione richiedendo l'attestazione della posizione debitoria, poiché questa interpretazione comporterebbe un effetto sostanzialmente sanzionatorio, in conflitto con la ratio di favore della norma".
Ed, ancora più chiaramente, la Corte ha specificato che "un'interpretazione dell'art. 14 commi 2 e 3 che faccia conseguire alla mancata richiesta del certificato di debenza una più estesa responsabilità del cessionario finirebbe per avvicinare il regime della cessione conforme a legge con quello della cessione in frode alla legge" (fattispecie disciplinata dai commi 4 e 5 del medesimo articolo).
Si ringrazia per la collaborazione il dott. Carlo Mandile
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