ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE FORENSE IN FORMA SOCIETARIA

02 agosto 2018

ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI (IN PARTICOLARE QUELLA FORENSE) IN FORMA SOCIETARIA, QUALI NORME APPLICARE? (Cassazione SS.UU. 19 luglio 2018 n. 19822)

Dott. Carlo Mandile

L’esercizio in forma societaria della professione forense è stato oggetto di svariati interventi legislativi nel corso degli anni, relativamente ai quali la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite è di recente intervenuta al fine di chiarire e circoscrivere le norme applicabili.

Il presente approfondimento muove da un caso pratico presentatosi allo studio, riguardante la possibilità di mutare la veste giuridica di uno studio associato, e la cui risoluzione ha necessitato una attenta analisi dello sviluppo normativo in materia. Analisi che, tra l’altro, ha trovato puntuale conferma nella sentenza della Cassazione a SS.UU n. 19822 del 19 luglio 2018.

Al fine di ricostruire la intricata questione dell’esercizio delle professioni intellettuali in forma associata è opportuno, come illustrato dalla medesima Suprema Corte, procedere preliminarmente ad un rapido excursus sulle normative succedutesi nel tempo.

Solo avendo ben chiaro il quadro normativo di riferimento, infatti, è possibile delineare le soluzioni più adatte ai casi concreti che dovessero prospettarsi nella pratica.

L’esercizio in comune di tutte le attività professionali è stato regolamentato per la prima volta con la legge 23 novembre 1939 n. 1815, che consentiva sì l’esercizio in forma associata della professioni necessitanti l’abilitazione, ma escludeva la forma societaria, e stabiliva l’obbligo di utilizzare esclusivamente la dizione “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario” seguita dal nome e cognome e dai titoli professionali dei singoli associati (art. 1); ogni diversa forma di esercizio associato di attività professionale era vietata (art. 2).

Il divieto di esercizio associato in forma diversa dallo “studio tecnico” è stato abrogato soltanto nel 1997, con l’art. 24 comma 1 della legge 7 agosto 1997 n. 2666 che, al contempo, rinviava la regolamentazione della materia ad un successivo decreto ministeriale, mai emanato (con conseguente incertezza circa la forma societaria utilizzabile).

Sin dal 1997, pertanto, il legislatore ha ammesso l’associazionismo professionale in forma diversa dallo studio tecnico, ma non ha circoscritto le concrete forme associative adoperabili.

La legge del 1939 è stata interamente e definitivamente abrogata soltanto con l’art. 10 comma 11 della legge n. 183 del 17 novembre 2011, rubricato “riforma degli ordini professionali e società tra professionisti”.

Prima della legge 183/2011, però, limitatamente alle società tra avvocati, era intervenuto il d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 96 che all’articolo 16 stabiliva che “l’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune secondo il tipo della società tra professionisti, denominata società tra avvocati”. Detta società era regolata dalle norme del titolo II del suddetto decreto legislativo e, per quanto non diversamente disposto, dalle norme della società in nome collettivo.

In sintesi, il decreto legislativo del 2001 stabiliva che la società tra avvocati poteva avere quale oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione, che tutti i soci dovevano essere in possesso del titolo di avvocato, che la società doveva essere iscritta al Registro delle Imprese e presso una sezione speciale dell’Albo degli Avvocati, che la stessa doveva avere nella ragione sociale la dizione “società tra avvocati”, e che non era assoggettabile a fallimento.

Il d.lgs. del 2001 non ammetteva, quindi, la partecipazione alla società di soggetti privi del titolo di avvocato, e non consentiva l’esercizio di più attività professionali eterogenee.

L’articolo 10 della legge 183/2011 ha, invece, consentito la costituzione di società di persone e di capitali aventi ad oggetto anche l’esercizio di eterogenee attività professionali, composte per un massimo di 1/3 da soci non professionisti, e per la restante parte da soci professionisti iscritti anche a differenti Albi professionali.

La legge 183 del 2011 non ha, però, abrogato espressamente il d.lgs. 96 del 2001, e, anzi, al comma 9 dell’art. 10 ha previsto che “restano salve le associazioni professionali, nonché i modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Ci si è chiesti, pertanto, se le aperture all’associazionismo professionale contenute nella legge del 2011 potessero valere anche per la professione d’avvocato, oppure se per gli avvocati valessero ancora le prescrizioni del d.lgs del 2001.

La riforma intervenuta con l’art. 10 della l. 183/2011 è, infatti, rivolta indistintamente a tutte le professioni ordinistiche, ma la clausola di salvaguardia suddetta, prevista al comma 9, ha fatto sorgere più di qualche dubbio circa l’applicabilità della riforma anche alle società tra avvocati.

Ebbene, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha chiarito che, stante la clausola di salvaguardia di cui al comma 9 dell’art. 10 della l. 183/2011, si deve ritenere che la suddetta legge non abbia sostituito, e tacitamente abrogato, la previgente disciplina in materia di società di avvocati.

Pertanto, ripercorrendo il ragionamento espresso dagli Ermellini, anche successivamente all’entrata in vigore della legge 183/2011 le società tra avvocati sono restate assoggettate alle norme del d.lgs. 96/2001.

Ad abrogare, però, la disciplina del d. lgs del 2001 ci ha pensato la legge 4 agosto 2017 n. 124, che, introducendo nella legge 247/2012 l’articolo 4 bis ha previsto una nuova normativa per l’esercizio in forma societaria della professione d’avvocato, normativa che, avendo il carattere della lex specialis, prevale sulla lex generalis contenuta nella legge 183 del 2011 e sulla anteriore disciplina del 2001.

In tal senso si è limpidamente espressa la Cassazione con la sentenza a SS.UU. dello scorso 19 luglio.

Il caso concreto posto all’attenzione della Corte riguardava la liceità di una S.a.s. tra avvocati costituita nel 2013 (quindi prima della novella del 2017) tra due soci avvocati ed un socio laureato in economia.

La Corte ha ritenuto la società non legittima, in quanto alla stessa non era applicabile la legge 183/2011, stante la clausola di cui al comma 9 dell’art. 10 che comportava che a disciplinare la società tra avvocati erano ancora le norme del d.lgs. 96/2001, che consentivano solo la veste giuridica della s.n.c. e, tra l’altro, solo tra soci iscritti tutti all’ordine degli avvocati.

La Cassazione, però, stante lo ius superveniens di cui all’art. 4 bis della l. 124/2017, ha chiarito, cassando la sentenza impugnata e rinviando al giudice di merito, che la legittimità della società andrà valutata in concreto in relazione alla compatibilità della stessa con il modello societario delineato dall’art. 4 bis della legge 247 del 2012, come introdotto nell’agosto 2017.

In conclusione, secondo la Suprema Corte la società tra avvocati è attualmente disciplinata soltanto dalle norme di cui all’art. 4bis della l. 247/2012, come introdotte della l. 124/2017, ed alle società costituite prima della novella del 2017 vanno applicate le norme del d.lgs. del 2001, e non quelle della legge del 2011, in quanto queste ultime fanno salvi i “modelli societari già vigenti”.

È opportuno precisare che, invece, i modelli associativi relativi ad altre professioni (si pensi ai commercialisti, ingegneri, geometri, ecc…) sono quelli delineati dall’art. 10 legge 183/2011.

Pertanto, ai sensi dell’art. 10 suddetto, le professioni regolamentate secondo il sistema ordinistico possono costituire società di persone o di capitali secondo le seguenti caratteristiche:

  • Devono avere ad oggetto l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale;
  • Sono ammessi soci iscritti ad ordini professionali diversi, e finanche soci non professionisti,
  • I soci non professionisti non possono superare limite massimo di 1/3 della compagine sociale, pena lo scioglimento della società.

I caratteri principali di una società tra avvocati, come disciplinata dall’art. 4bis l. 247/2012, sono i medesimi poc’anzi esposti per le altre professioni ordinistiche, con in più le seguenti previsioni:

  • È vietata la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona;
  • L’organo di gestione deve essere composto da soli soci;
  • La maggioranza dei componenti dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati
  • La società deve recare nella denominazione l’inciso “società tra avvocati”
  • La società tra avvocati è iscritta in un’apposita sezione dell’Albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede.

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