RINUNZIA EREDITA' E ART 485

02 agosto 2018

RINUNZIA ALL'EREDITA': OCCORRE ANCHE REDIGERE L'INVENTARIO DELL'EREDITA'?

Negli ultimi anni una questione estremamente delicata angoscia gli interpreti e i professionisti del diritto: se il chiamato all'eredità che sia nel possesso dei beni ereditari e voglia rinunziare all'eredità debba anche far redigere l'inventario dell'eredità.

La problematica è venuta in rilievo solo a partire dalla metà degli anni '90, cioè da quando la Cassazione, con un deciso revirement interpretativo dell'art. 485 c.c., ha abbandonato il precedente costante indirizzo giurisprudenziale, testimoniato da almeno un paio di decisioni (Cassazione 1359/1958, e la più recente Cassazione 11634/1991), per inaugurare una nuova ricostruzione della fattispecie, sostenuta in tre controverse pronunzie (le sentenze 7076/1995, 4845/2003 e 5862/2014), e ribadita nella recentissima sentenza n. 15530 del 22/6/2017.

In queste ultime discutibili decisioni la Suprema Corte si è espressa nel senso per cui il chiamato all'eredità che sia nel possesso dei beni ereditari, quand'anche non voglia accettare l'eredità, e sia nei termini di cui all'art 485 c.c., per poter validamente rinunziare all'eredità dovrebbe preliminarmente redigere l'inventario della stessa.

L'art. 485 c.c. stabilisce che il chiamato all'eredità che è nel possesso dei beni ereditari deve redigere l'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione, o dal giorno della notizia della devoluta eredità, altrimenti è considerato erede puro e semplice.

Secondo costante interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, deve ritenersi nel possesso di beni ereditari, ai fini dell'art 485 c.c., non soltanto chi è titolare di un diritto reale su di essi, ma anche colui che li detenga a qualsiasi titolo (ad esempio anche solo in virtù di comodato o locazione).

Inoltre, secondo la ricostruzione che pare preferibile, non è necessario che il chiamato sia nel possesso, nell'accezione poc'anzi precisata, di tutti i beni ereditari, ma anche di uno solo di essi, tant'è, secondo la dottrina, che la norma è rubricata "chiamato che è nel possesso DI beni ereditari", e non "DEI beni ereditari".

In ogni caso, chi si è occupato dell'argomento ha rilevato come non basti il possesso di un solo bene di modico valore, ma sia necessario che il bene in possesso del chiamato sia di un valore rilevante, avuto riguardo all'intero compendio ereditario, per potersi applicare l'art. 485 c.c.

Orbene, chiarito entro quali termini possa configurarsi la figura del chiamato-possessore di beni ereditari ai fini dell'art. 485 c.c., va evidenziato come in dottrina e nella prassi notarile, fino a qualche anno fa, nessuno aveva mai dubitato che la rinunzia del chiamato-possessore non necessitasse della redazione dell'inventario.

La norma in questione era pacificamente interpretata nel senso per cui il chiamato possessore che non volesse diventare erede puro e semplice, né volesse accettare con beneficio di inventario, dovesse rinunciare all'eredità prima del decorso dei termini per compiere l'inventario.

Le esigenze di tutela dei terzi, che stanno a fondamento della necessità di compiere l'inventario, non sono mai parse sussistere in caso di rinunzia all'eredità prima del decorso del suddetto termine.

Di contrario avviso, come detto, è il "moderno" orientamento della Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, l'art. 485 c.c. richiederebbe la redazione dell'inventario anche nel caso che il chiamato voglia rinunciare all'eredità; in particolare, a giudizio della Cassazione (sentenza 4845/2003) "l'onere imposto dall'art. 485 al chiamato in possesso dei beni ereditari di fare l'inventario, condiziona non soltanto la facoltà di accettare con beneficio di inventario, ma anche quella di rinunciare all'eredità, ai sensi dell'art. 519, in maniera efficace nei confronti dei creditori del defunto, dovendo il chiamato, allo scadere del termine stabilito per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice".

Nello stesso senso la recentissima sentenza n. 15530 del 22/6/2017: "non deve trascurarsi che secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4845/2003) la previsione del secondo comma dell'art. 485 c.c., sarebbe destinata ad operare non solo nel caso in cui l'erede voglia procedere all'accettazione con il beneficio dell'inventario, ma anche quando egli, essendo in possesso di beni ereditari, voglia rinunciare puramente e semplicemente all'eredità (conf. Cass. n. 11018/2008; Cass. n. 5152/2012), con la conseguenza che, non avendo i ricorrenti redatto l'inventario nei tre mesi dall'apertura della successione, la rinunzia sarebbe priva di effetti".

La posizione assunta dalla Cassazione viene giustificata facendo riferimento alle esigenze di tutela dei terzi, i quali potrebbero far affidamento nella qualità ereditaria di un soggetto che sia rimasto nel possesso dei beni ereditari pur avendo rinunziato all'eredità.

I creditori dell'eredità, inoltre, avrebbero interesse a che sia redatto l'inventario dell'eredità in ogni caso in cui vi sia un soggetto chiamato all'eredità nel possesso di beni del compendio ereditario, a prescindere dal fatto che questi possa aver rinunciato o meno alla chiamata, giacché la redazione dell'inventario li tutelerebbe da possibili sottrazioni di beni dalla massa ereditaria.

A ben vedere, le ragioni che hanno indotto la Cassazione a questo deciso revirement interpretativo dell'art. 485 c.c. non sono prive di fondamento, ma non può non segnalarsi come, a tirare la coperta della tutela dal lato dei terzi e dei creditori, si finisca per scoprirla, forse eccessivamente e ingiustificatamente, dal lato del chiamato all'eredità che decide di rinunziarvi.

Costui, infatti, se si seguissero gli orientamento giurisprudenziali di cui sopra, sarebbe costretto ad un ingente dispendio economico e di tempo, derivante dall'esigenza di redigere l'inventario del compendio ereditario, in aperto contrasto con la volontà di dismettere la qualità di delato.

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