"SALE AND LEASE BACK": C'E' VIOLAZIONE DELL'ART. 2744 C.C.? PROSPETTIVE ED ORIENTAMENTI DEI GIUDICI DI LEGITTIMITA' (in particolare Cassazione civ., sez I, sentenza n. 11449 del 17/05/2017)
Dott. Carlo Mandile
Il contratto di "sale and lease back" è un contratto non tipizzato dal legislatore, ma "socialmente tipico" (come più volte l'ha definito la Cassazione), che svolge una funzione di finanziamento, specie per le imprese che hanno urgente bisogno di liquidità. Esso si caratterizza per il trasferimento ("sale") di un bene, per lo più immobile, dall'imprenditore alla società di leasing, la quale, dopo averlo acquistato, lo concede in godimento ("lease back") al medesimo imprenditore. Quest'ultimo versa quale corrispettivo della locazione un canone periodico e, allo scadere della concessione in godimento, può optare per il riacquisto del bene versando una somma già predeterminata in sede di stipula del contratto.
L'operazione in commento ha da sempre destato molteplici dubbi circa la sua compatibilità con l'art. 2744 c.c., che pone il divieto del cosiddetto "patto commissorio", ossia del patto con il quale si stabilisce che, in caso di inadempimento, il bene dato in pegno, o sul quale è concessa l'ipoteca, si trasferisca nella titolarità del creditore.
E' opportuno precisare che la giurisprudenza ritiene applicabile il divieto del patto commissorio non soltanto alla fattispecie espressamente delineata dall'art. 2744 c.c., che fa riferimento soltanto ai beni dati in pegno o ipotecati, ma in ogni caso di alienazione di un bene con funzione di garanzia dell'esatto adempimento dell'obbligazione.
La Cassazione, con una nota sentenza a Sezione Unite (la n. 1611 del 3 aprile 1989), dopo aver stabilito che il divieto dell'art. 2744 va esteso ad ogni ipotesi di trasferimento di un bene a causa dell'inadempimento del debitore, sia esso antecedente o successivo all'inadempimento, ha chiarito che il divieto di cui all'art. 2744 c.c. trova suo fondamento: - nell'esigenza di evitare la "coazione" del debitore derivante dall'indebita pressione cagionata dal rischio di perdere il bene, - nella necessità di non alterare la "par condicio creditorum", - nella tutela del debitore dal rischio di sproporzione tra il valore del bene trasferito e l'entità del debito rimasta inadempiuta.
Tale premessa è parsa doverosa, al fine di meglio contestualizzare e comprendere la recentissima pronunzia della Suprema Corte.
La Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 11449 del 17/05/2017, ha ribadito che "il contratto di sale and lease back, pur configurando in sé un'operazione negoziale che non può ritenersi necessariamente preordinata alla fraudolenta elusione del divieto stabilito dall'art. 2744, cod. civ., tuttavia viola tale divieto qualora, per le circostanze del caso concreto, (difficoltà economiche dell'impresa venditrice che giustificano il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza, sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente) l'operazione riveli una finalità in contrasto con esso"
Nel caso oggetto della succitata sentenza, i giudici di legittimità hanno ritenuto illecito il patto di "sale and lease back" in quanto indice di un comportamento fraudolento della società acquirente, la quale ha inteso approfittarsi del generale stato di dissesto economico della società alienante, acquistando il bene per un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato (nello specifico il prezzo pattuito era stato di 280.000,00 euro, mentre il valore stimato a bilancio della società venditrice era di oltre 750.000,00 euro).
La ravvisata sussistenza di sproporzione tra il prezzo di vendita dell'immobile ed il suo effettivo valore, ha indotto i Giudici della Cassazione a non riformare la sentenza della Corte di Appello, la quale, dopo aver qualificato l'operazione come "sale and lease back", aveva ritenuto che essa, in concreto, costituisse violazione del divieto di patto commissorio.
Stante detta decisione dei Giudici di legittimità, appare ancor più evidente l'importanza di un'altra recente pronunzia della Cassazione (Cass. civ. sez. I, sentenza n.1625 del 28/01/2015), la quale aveva sancito la rilevanza della cosiddetta "clausola marciana" apposta ad un contratto di "sale and lease back", quale strumento per escludere la sproporzione tra valore del bene acquisito dal creditore, ed entità del debito non corrisposta.
Il patto marciano è quella clausola contrattuale con la quale si mira ad impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore all'ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento al venditore dell'importo eccedente l'entità del credito.
Secondo quanto sostenuto dalla Corte con la sentenza 1625/2015 "il cosiddetto patto marciano è strumento idoneo a scongiurare l'illiceità, permettendo l'uso di un contratto finanziario, quale il "lease back", ritenuto vantaggioso dagli utilizzatori"
Nella succitata sentenza del 2015, è dato, altresì, leggere: "si reputa che la cautela marciana riesca a superare i profili di possibile illiceità del lease back, in quanto prevede, al termine del rapporto, la stima del bene oggetto di garanzia quale presupposto del consolidarsi dell'effetto traslativo iniziale, evenienza che si verificherà quando il valore del bene sia equiparabile all'importo del credito inadempiuto (nonché del danno da inadempimento); mentre, ove tale importo sarà inferiore, verrà quantificata la differenza e sarà pagato un prezzo aggiuntivo al debitore, quale condizione del consolidamento dell'effetto traslativo. Ciò garantirebbe contro il pericolo che il debitore subisca una lesione in conseguenza del trasferimento con funzione di garanzia: la stima imparziale del valore del bene ad opera di un terzo, e l'obbligo, da parte del creditore, di restituire l'eccedenza al debitore assumono, quindi, il compito di escludere l'abuso, e con esso l'operatività del divieto di patto commissorio e la conseguente illiceità. Fondamento dell'effetto salvifico è, da un lato, l'idoneità della clausola a ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni del contratto di "sale and lease back", e dall'altro lato la sua capacità di scongiurare che l'attuazione coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco".
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali circa il rapporto tra "sale and lease back" e divieto di patti commissori, si può ritenere, pertanto, consigliabile l'introduzione di una clausola che consenta di scongiurare il rischio di approfittamento, da parte del creditore, dello stato di crisi del debitore, mediante idoneo meccanismo di stima del bene e restituzione dell'eccedenza. Ove detta previsione contrattuale mancasse, si correrebbe il rischio di incappare in una pronunzia di illiceità del negozio, come evidenziato dalla Cassazione con la sentenza dello scorso maggio.
Tra l'altro, sono già codificati nel nostro ordinamento istituti che consentono la piena realizzazione dei diritti del creditore, purché sia tutelato il diritto del debitore a pagare al creditore quanto in effetti gli spetti, e nulla di più (ad esempio: l'art..1851 c.c., circa il pegno irregolare a garanzia, l'art. 1982 c.c. in tema di cessione dei beni ai creditori, e gli artt. 2803 e 2804 c.c. che disciplinano, rispettivamente, la riscossione del credito scaduto dato in pegno, e l'assegnazione al creditore pignoratizio del credito dato in pegno, ma solo "fino a concorrenza del suo credito").
In ogni caso, la causa concreta del contratto di "sale and lease back" può ben essere piegata al fine illecito vietato dall'art. 2744c.c., e l'effetto illecito perseguito dipenderà dalle circostanze del caso concreto e dalle clausole negoziali presenti nell'accordo, fondandosi su tali elementi di fatto la corretta qualificazione complessiva della fattispecie.
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